Ho scritto questo post su LinkedIn in un momento di sconforto.
Tutto è nato da un post che avevo letto in cui venivano riportare alcune questioni che a me, come a tutti i miei altri colleghi che lavorano nel nonprofit, ha fatto particolarmente arrabbiare.
Terzo settore: stipendi da fame?
“Lavori nel terzo settore? Allora accetta il fatto di avere uno stipendio basso e di avere orari flessibili”.
Insomma, lavora tutto il giorno, tutti i giorni e con un stipendio da fame.
Questo fatto è inaccettabile sotto diversi punti di vista. Ma partiamo con calma.
Innanzitutto lavorare nel terzo settore significa lavorare. Punto. È un lavoro dignitoso al pari di qualsiasi altro lavoro esistente sulla faccia della terra.
Oltretutto le persone che lavorano nel terzo settore sono molto spesso ultra qualificate (lauree, master, corsi ecc). Non è sicuramente roba da primo che passa in mezzo la strada. Per cui NON HA SENSO pensare nemmeno lontanamente che un professionista del nonprofit debba essere pagato meno di un professionista del profit.
Ma questo l’ho sentito dire almeno 700 volte negli ultimi due anni. E forse sono anche poche.
In secondo luogo, lavorare nel terzo settore significa lavorare in situazioni molto delicate, che richiedono grandi competenze e svariate capacità. Peccato che io (e credo anche voi) non siate nati imparati. Per cui tocca formarsi e rimanere aggiornati. Sempre e comunque. E giustamente, visto che nel terzo settore ci stai perché devi “patire la fame”, allora è anche giusto che nessuno ti paghi corsi di formazione o che tu non possa permetterteli perché lo stipendio è letteralmente da fame.
Chi lavora nel terzo settore non è un martire. Lavora per aiutare gli altri e aiutare gli altri è un lavoro. Peccato che tocca anche campare e per lavorare bene tocca CAMPARE BENE. Tocca poter dare spazio a se stessi. Dedicare tempo alle persone che abbiamo intorno, ai nostri legami. E sarebbe utile e necessario avere anche una sicurezza economica.
Mi stupisco di come ancora possa esistere questa mentalità da “settorino poverino”.
Tocca parlarne di più. Ma ho fiducia che un giorno le cose possano cambiare anche grazie ad una generazione di giovani che ha voglia di dire basta e schiacciare questi meccanismi.
Come è giusto che sia.
Ciao poverini del terzo settore. In tutti i sensi.